“Occorre ricomporre il lavoro dopo che lo si è diviso”.

Cosa intendo con questa frase un po’ sibillina?
Se è corretto suddividere il lavoro, i compiti fra le persone che lavorano in azienda, suddivisione che tiene conto delle competenze di ognuno e che porta ad un aumento di efficienza per il fatto che le persone diventano esperte e quindi più rapide e precise nell’esecuzione dei compiti, è altrettanto vero che poi occorre “ricomporlo”, altrimenti “ognuno va per conto proprio”, perdendo di vista gli obiettivi aziendali.
Ricomporre il lavoro significa inserire in azienda alcuni meccanismi di integrazione che consentano di bilanciare la specializzazione del lavoro, specializzazione sempre più alta a fronte di un mercato sempre più instabile e “domandante”.
Ad esempio, occorre inserire figure di coordinamento (i responsabili), facendo attenzione a scegliere persone con competenze relazionali e non solo tecniche, o, eventualmente, proporre interventi formativi per sviluppare le prime.
Attivare riunioni intrafunzionali (all’interno della stessa funzione) e interfunzionali (fra funzioni diverse), è un altro modo di integrare il lavoro, a patto si faccia molta attenzione alle modalità con cui questi incontri sono condotti.
Anche il software, se integrato e non ridondante, è un buon meccanismo di integrazione organizzativa perché consente alle persone di capire la sequenza delle fasi che compongono i processi aziendali, e, di conseguenza, a comportarsi in modo più “aderente” ai processi.
In questi ultimi anni di forti preoccupazioni trovo sempre più utile inserire in azienda momenti di socializzazione (attività ricreative, formazione outdoor, convention ed eventi simili), a patto siano scelti dalle persone e non imposti dalla direzione, e a patto che la cultura aziendale sia in linea con i concetti di collaborazione, condivisione, leadership diffusa; in mancanza di quest’allineamento, diventano inutili quando non nocivi alla vita organizzativa, appaiono cose buttate là perché di moda o perché viste in casa di qualche concorrente.
Se, invece, sono sentite dai vertici organizzativi, se lo stile di direzione quotidiano le rinforza, allora questi momenti di socializzazione, ben pensati e condotti, sono potenti strumenti di integrazione; hanno un benefico effetto sulla motivazione e, di conseguenza, apportano benefici al lavoro quotidiano.
Le attività di socializzazione aiutano a “fare gruppo” e il gruppo è una grande risorsa per l’integrazione ed il cambiamento organizzativo: permette agli individui di darsi reciproco sostegno e di rinforzare l’identità, è una preziosa palestra per creare, sperimentare, mantenere relazioni. Aiuta, inoltre, a sviluppare un’intelligenza collettiva maggiore della somma delle singole intelligenze, attraverso molte osservazioni da diversi punti di vista. Ed è di questo ciò di cui c’è bisogno oggi in azienda…

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Riflessioni per un nuovo modello di formazione

Negli ultimi anni la formazione in ambito aziendale ha avuto una forte accelerazione; molte proposte da parte di agenzie formative hanno composto un’offerta articolata, seppure di qualità non sempre costante, a cui molti imprenditori e responsabili di azienda hanno aderito con interesse e partecipazione crescente.
L’offerta formativa si presenta, attualmente, differenziata per contenuti, livelli di approfondimento, proposte metodologiche, al fine di soddisfare le richieste sempre più varie provenienti dal mondo complesso ed eterogeneo, quale il mondo delle PMI.
Acconto a contenuti tecnici che riguardano l’ambito della pianificazione strategica e del controllo di gestione, della gestione della produzione, del marketing strategico, del web marketing, trovano sempre più spazio i temi della leadership e gestione della risorsa umana, della comunicazione organizzativa, della gestione dei gruppi di lavoro, rivolti a sviluppare le competenze imprenditoriali soft, come oggi sono chiamate queste abilità di carattere relazionale, sempre più centrali per il buon successo imprenditoriale.
Ciò che, invece, ci pare costante è la metodologia formativa; accanto alla tradizionale formazione frontale, in cui il formatore propone argomenti teorici, casi di studio, ci sono sì esempi di lavoro di gruppo, simulazione di ruoli, giochi ma ci pare resti sempre centrale la figura del formatore/esperto, che dispensa informazioni, teorie, pratiche – molto spesso solo sequenze di slides di dubbia efficacia comunicativa – attorno a cui ruotano, in modo più a meno passivo, i partecipanti all’attività formativa. Sotto i riflettori c’è sempre il formatore, nell’ombra i discenti.
Ma l’apprendimento è sociale e situato!
In altre parole, si impara stando/facendo/ragionando con altri, utilizzando artefatti materiali e immateriali in parte pre-costruiti, in parte costruiti nel corso dell’interazione, qui ed ora.
Inoltre, perché ci sia apprendimento, i nuovi concetti, i nuovi modi di fare ed essere devono integrarsi in qualche modo con l’esperienza precedente; comprendere come le persone recepiscono e concepiscono la realtà è, quindi, il punto di partenza per impostare qualsiasi pratica formativa che deve partire da un problema reale o simulato ma plausibile per indurre in chi apprende, la ricerca di informazioni e di strumenti che possono aiutarlo a trovare una soluzione adeguata, attraverso la relazione con gli altri.
In tale prospettiva, si può dire che l’uomo è in grado di imparare anche attraverso il tentativo di risolvere compiti insolubili o di cui nessuno dei partecipanti conosce la soluzione; per apprendere, l’importante è che ci sia interazione.
Un intervento formativo deve, a nostro avviso, essere condotto con questi principi di base al fine di creare “quell’insieme di relazioni durature fra persone, attività e mondo, la comunità di pratica, attraverso cui le persone condividono i modi in cui si fanno le cose e si interpretano gli eventi, cioè apprendono”.

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Un pensiero

In molti soffrono per questa crisi incalzante che ci sta mordendo oramai da troppo tempo. Il lavoro è uno dei temi che ci dà più preoccupazione, quando non dolore. Non ho ricette pronte all’uso, non amo dare consigli, soprattutto quando non mi sono richiesti.
Ma questa strofa mi pare indichi una possibilità per continuare a lottare:
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati“. P. Neruda

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Formazione Flash in ambito Risorse Umane


Ho appena concluso un breve intervento in una PMI commerciale per lo sviluppo delle competenze in ambito Risorse Umane.
Lo scopo dell’intervento era formare due persone a ricoprire le attività previste dalla funzione Risorse Umane, secondo le linee fornite dalla Direzione.
L’intervento è stato condotto con una modalità mista formazione/consulenza/coaching; in pratica, ogni incontro settimanale, a parte il primo in cui si sono stabiliti gli argomenti e le modalità di svolgimento, era condotto nel modo seguente:
- Verifica del piano di azione preparato dai partecipanti la settimana precedente;
- Raccolta di ciò che era successo in azienda e cosa si era potuto applicare di quanto visto in aula la settimana precedente;
- Confronto su ciò che aveva funzionato e cosa no e presentazione di brevi cornici teoriche con slides, letture, visita a siti;
- Presentazione di un nuovo argomento e discussione su come applicarlo in azienda;
- Aggiornamento del piano di azione.
Gli argomenti trattati sono stati: la pianificazione dei fabbisogni, le procedure di reclutamento e il colloquio di selezione, la valutazione dei fabbisogni formativi, la valutazione della prestazione, la comunicazione interna.
Sono state anche fornite brevi cornici sui temi dell’organizzazione e del comportamento organizzativo, sottolineando, in particolare, la differenza fra l’organizzazione visibile e non visibile.
Avevo già svolto attività simili in aziende più grandi con soddisfazione dei partecipanti e mie; anche quest’esperienza in una piccola azienda è stata di soddisfazione e mi ha confermato l’efficacia di lavorare in modo strutturato, con continue interazioni e attività pratiche.
L’attività è stata interamente finanziata con i fondi interprofessionali e anche la burocrazia è stata minima.
Un’esperienza davvero positiva, confermata anche dalle mail dei partecipanti.

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Piano Europeo per lo sviluppo dell’imprenditorialità: la priorità dell’Educazione ad essere imprenditori

Nel discorso di presentazione del Piano “Imprenditoria 2020” per lo sviluppo dell’imprenditorialità di Antonio Tajani, Vicepresidente della Commissione Europea, leggo con molto piacere che, fra le varie azioni indicate, l’Educazione ad essere imprenditori è prioritaria. Riporto testualmente:
“Azioni da intraprendere
La strategia si basa su tre pilastri, con azioni da sviluppare a ogni livello, europeo e nazionale: (I) l’educazione all’essere imprenditori; (II) la rimozione delle barriere che frenano le imprese, (III) migliori opportunità per donne, giovani, senior e immigrati.
Educazione
La voglia e la capacità di fare impresa non sono solo frutto dell’indole personale. Il 15-20% degli studenti coinvolti in esperienze scolastiche di micro imprese decide poi di diventare imprenditore con una percentuale di 3/5 volte superiore rispetto alla media. Questo e altre esperienze pilota dimostrano il ruolo chiave del sistema educativo nello sviluppare la propensione a fare impresa. Del resto creatività, tenacia o capacità organizzativa necessarie per fare impresa, sono importanti per chiunque.
Per questo la Commissione incoraggia gli Stati a inserire nei propri cicli di formazione obbligatoria esperienze e insegnamenti per promuovere lo spirito imprenditoriale. (…)”

Già da tempo la ricerca psicosociologica sull’imprenditorialità ha evidenziato l’efficacia di interventi educativi diretti ad un ampliamento della cultura imprenditoriale, da attuarsi sensibilizzando i giovani e gli adulti verso una cultura del lavoro indipendente al fine di aiutarli a cambiare prospettiva e pensarsi diversamente in relazione al lavoro.
I risultati della ricerca permettono di inquadrare le linee guida di questi interventi su tre tipi di azioni:
Azioni di educazione: in questo ambito possiamo individuare due categorie di interventi:
-interventi di socializzazione: percorsi brevi di natura esplorativa dell’imprenditorialità rivolti principalmente a studenti al fine di stimolare la curiosità e l’interesse verso l’imprenditorialità;
-azioni di sensibilizzazione: rivolte a giovani e adulti con la finalità di creare una cultura dell’imprenditorialità attraverso seminari, incontri, testimonianze e trattando aspetti generali del fenomeno imprenditoriale.
Azioni di orientamento: percorsi personalizzati per tipologia di utente per conoscere la realtà imprenditoriale, di sostegno e ricerca per i giovani che abbiano già operato una scelta imprenditoriale
Azioni di formazione: percorsi modulari e flessibili che si pongono obiettivi differenti, possono essere un unico e logico percorso completo di formazione imprenditoriale, oppure percorsi singoli e specifici su alcune competenze necessarie per diventare lavoratori autonomi.

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